Premessa al Diario

È difficile, così a distanza di tempo e dopo esser passati attraverso tante vicissitudini, fare un preciso racconto delle proprie impressioni e rendere idea dei relativi stati d’animo. È difficile, ed è probabilmente inutile, ma la stesura di un diario o delle proprie memorie sono evidentemente una necessità, poiché non v’è prigioniero che si rispetti che non abbia, nelle profondità delle proprie tasche, un libretto, gelosamente custodito, a cui dedicare ogni giorno qualche minuto.

seconda

Brunello, insuperabile per costanza e precisione oltre che per lo spiccato senso umoristico con cui seleziona gli episodi, mi aiuterà a rammentare le date mediante il suo aggiornatissimo diario. Le date, generalmente, immiseriscono il valore degli avvenimenti; ma il caso mio, e degli altri che subirono la stessa sorte, non si accomuna alla legge. Le vicende degli italiani prigionieri in Germania hanno, come nota dominante, il tempo. E le date sono necessarie per esprimerne la lunghezza. Il tempo è il metro delle nostre sofferenze e su di lui si misurano i meriti di chi le ha subite. Ogni triste episodio portava come logica conseguenza la domanda “quanto durerà ancora?”. In questa domanda sta tutta l’angoscia dell’animo di un prigioniero di guerra; ma particolarmente per il prigioniero italiano essa racchiudeva la sintesi di tutti i travagli fisici e morali dell’individuo, della propria famiglia lontana, della patria.

A ben indagare nell’animo mi accorgo che, anche prima dell’8 settembre 1943, qualcosa esisteva in me di preoccupante. Non so se si trattasse di presentimento piuttosto che di logiche deduzioni. Ma si voleva essere ottimisti ad oltranza e, vivendo nell’atmosfera di comune gaiezza, ciascuno si sentiva in dovere di non incrinare la beata incoscenza altrui e di non badare ad ogni possibile pessimistica previsione. In Francia si aveva la nettissima sensazione del disfacimento dell’esercito: un’organismo di tale mole non può avere per intelaiatura fondamentale degli ufficiali che badano esclusivamente ai propri agi e soprattutto al proprio tornaconto. E purtroppo il male era ripartito tra i quadri in modo proporzionale al grado dei singoli.

Non è mia intenzione giudicare nessuno, ma non è certo che in questo stato di cose va ricercata gran parte delle cause deleterie: l’esercito subiva in pieno le conseguenze dei sistemi allora vigenti in Italia.