Il giorno 14, quando già ci si era, per abitudine alla nuova situazione, sollevati di morale, si riceve l’ordine di consegnare le nostre pistole ai tedeschi. Si esegue scrupolosamente – ma lo stato d’animo di chi deve consegnare quell’arma che, oltre ad essere la fedele amica di ogni soldato, rappresenta il simbolo di comando dell’ufficiale, è indicibile. Significava essere privati della nostra personalità militare ed il peso della nuova condizione di lavoratori si faceva più greve. Nella stessa giornata i tedeschi ci comunicavano che ci avrebbero inviati i complementi necessari a formare, col nostro reparto, tre compagnie di lavoratori su 250 uomini cad. Circa gli ufficiali non si hanno istruzioni. Nella compilazione di tali elenchi passa la giornata del 15; giornata triste, piovosa, eterna.
Nel nostro subcoscente, indipendentemente da ogni ragione più o meno giustificata, si era formata la persuasione che un qualche imprevisto, atto a modificare la nostra condizione, si sarebbe verificato. Congetture d’ogni genere e calcoli strategici confermavano le nostre persuasioni. Ma i giorni passavano e le speranze si andavano via via affievolendo. Evidentemente le cose si andavano sistemando così come si erano instradate. Al giorno 16 la radio ci informa circa la costituzione in Italia del Governo fascista repubblicano. Rinasce la speranza che qualcuno si occupi di noi. Nel pomeriggio scrivo a mia moglie perché si dice che, a mezzo del Console Italiano, si potrà far recapitare la lettera. Darei qualsiasi cosa per far avere ai miei qualche notizia; immagino il loro stato d’animo e penso a quante tristi congetture staranno facendo sul mio conto. Più dardi si viene a sapere che il Console, anticipando la partenza, non ha avuto modo di portare con se le nostre lettere.