Riusciamo a sistemarci in una camera con il gruppo dei bergamaschi e ci diamo da fare per sistemarci e per impiantare la luce. Mainardi, compiendo delle vere e proprie acrobazie riesce a sistemare il filo volante che portiamo sempre al seguito. Si rimediano anche dei letti e dei tavoli e con essi le solite cimici. Si rifà la cucina in cortile e Allievi compie il miracolo di prepararci una pasta asciutta. È innegabile che gli alpini si distinguono sempre: gli altri guardano meravigliati la prontezza con cui ci organizziamo ovunque e l’accordo che regna fra di noi.
Il ritorno a Hyères ci ha aperto un filo di speranza circa la possibilità di trovare una risposta alle lettere che abbiamo da costì scritte a casa, ma saremo totalmente delusi. Il 17 ci viene annunciata come imminente la nostra partenza per Strasburgo. Altri ufficiali fuggono, con questa previsione; fra di essi Gavioli che da tempo meditava i piani più irrealizzabili – temo che non se la caverà troppo facilmente perché è troppo tonto e troppo fatuo. Io non vedo perché ci si debba spaventare per la prospettiva di andare a Strasburgo. Mi pare anzi che soltanto arrivando in Germania verrà definita la nostra posizione e qualsiasi piega essa prenda sarà sempre più gradita dell’incertezza in cui si vive. Ma la partenza viene rimandata e, per ritorsione a seguito delle fughe avvenute, i tedeschi racchiudono tutti gli ufficiali presenti – e siamo in altre 300 – nella casermetta ove siamo noi. Bloccano poi le uscite e restiamo nell’impossibilità di respirare aria che non sia quella della camerata. Particolare curioso: c’è un solo gabinetto a disposizione e, ammesso che ognuno se ne serva per dieci minuti al giorno, bisognerebbe che il giorno avesse circa 50 ore per… evitare incidenti. Ci sono ufficiali che dormono nel lavatoio e nell’androne: è uno spettacolo pietoso vedere dei colonnelli in età avanzata dormire a terra, senza neppure un po’ di paglia.