Il 25 passiamo la rivista e la disinfezione: Riesco a far scappare i bagagli, ma gli indumenti che ho indosso subiscono la bollitura all’antoclave; anche noi passiamo una benefica doccia calda. Veniamo sistemati in altre baracche ove siamo molto pigiati. Ora corre voce che potrà seguirci solo il bagaglio che potremo trasportarci a spalla, quindi nuova vendita fallimentare di chi ha roba in eccesso. Io insisto nel conservarmi tutto quanto ho al seguito, materasso compreso.
La nostra posizione continua ad essere indecisa – il trattamento, particolarmente dal punto di vista alimentare – è decisamente da prigionieri. I “combattenti” sono soggetti a ugual sorte ma hanno razioni più abbondanti. Si dice che ci utilizzeranno a Strasburgo, e questo è confortante poiché la città, per lingua e per costumi, è molto più francese che tedesca. Nella baracca ci sono scritte in tutte le lingue che indicano come molti prigionieri di guerra, anche tedeschi all’inizio della guerra, siano passati per lì prima di noi.
Passiamo la notte tra il 25 ed il 27 in qualche modo, sugli scomodi giacigli. Alle 11 del 27 ci viene dato l’ordine di preparare i bagagli perché si deve partire. Mi tengo al seguito lo zaino sovraccaricandolo quanto più possibile di coperte arrotolate. In esso ho tutto il mio corredo ed i viveri – pochi purtroppo – rimasti. Incolonnati per tre e circondati da tedeschi armati di fucili e di pistole mitragliatrici partiamo. Lo zaino mi pesa parecchio perché non ho abitudine a portarlo e perché le gambe non sono molto salde data la scarsa alimentazione degli ultimi tempi. Camminiamo per un’ora e poi ci riposiamo per dieci minuti. Mi sento stanco. C’è chi approfitta della sosta per gettarsi in un campo di rape, dissotterrarle e mangiarle crude. Non vi sono con noi ufficiali superiori, chè saranno trasportati in autocarro con i bagagli da noi lasciati, ma vi sono, fra i capitani, uomini di una certa età che a stento riescono a proseguire.
La seconda tappa è caratterizzata, per me, da un forte sfinimento e da un gran bruciore ai talloni. Ho ai piedi delle calze militari nuove che, ad ogni passo, mi strofinano i calcagni atrocemente. Ma tiro avanti camminando coi piedi piatti, il che contribuisce a stancarmi ancora più. Alla terza tappa il dolore ai calcagni diventa insopportabile, le gambe mi reggono a stento ma non ci si può fermare perché i soldati di scorta sono pronti a dare spinte e colpi col calcio del fucile. Durante la sosta mi tolgo gli stivali e mi trovo le calze inzuppate di sangue. Non ho il coraggio di mettermi le scarpe acquistate da Vivona perché non avendole usate prima mi potrebbero fare anche più male; rovescio nelle calze una mezza scatola di boro talco e proseguo.