La quarta tappa viene, bene o male portata a termine. Dopo i dieci minuti di riposo faccio fatica a rimettermi in piedi. Anche Brunello non ce la fa più. Oltre allo zaino s’è tirato al seguito una valigetta ed ha le mani piagate. Lo aiuto per un tratto a portarla. Camminiamo mezz’ora, passiamo un ponte sopra lo scalo merci di Strasburgo e ci accorgiamo che la strada è in salita sempre più ripida. I tedeschi in testa accellerano la andatura. Intono una canzone alpina ed altri fanno coro. Sento che se si ha da continuare a lungo nessun fucile di tedesco potrà tenermi in piedi – cammino con le ginocchia piegate. Non so quanto tempo passa ancora, è notte fonda quando entriamo in un forte passando su di un ponte levatoio. Su di una targa c’è la scritta “Fort Kronprinz”. Si scende in un sotterraneo. In un corridoio c’è una serie di porte che danno in altrettante celle arredate con cuccette a due o tre piani. Mi trovo un posto libero e mi distendo. Non m’interessa di essere in una cabina umida e sporca, non m’importa che non ci venga dato niente da mangiare. Non c’è acqua ne per bere ne per lavarsi. Riesco a togliermi gli stivali e le calze insanguinate e a sciogliere le coperte del sacco, poi cado in un dormiveglia pieno di incubi. Si passa la notte tormentati dalla sete e soltanto il giorno dopo riesco a rendermi conto con esattezza delle nostre condizioni.
Il forte è grandissimo, lo circonda un fossato nel quale danno le finestre delle celle. Il panorama è limitato al muro di fronte sulla cui sommità passeggia la sentinella. All’estremità del corridoio c’è un tratto di fogna scoperto, che serve da gabinetto, il cui lezzo si spande ovunque. Le scritte sui muri rivelano che molti prigionieri olandesi, francesi, russi, inglesi sostarono qui prima di noi. Nella nostra cella c’è la scritta “Un mot. un mort”, evidentemente l’autore aveva pensieri anche più lugubri dei nostri.
Il 28, il 29 ed il trenta passano senza avvenimenti notevoli. Una volta al giorno ci vien somministrata una brodaglia nera ottenuta cuocendo i residui delle barbabietole usate per lo zucchero. Ha un sapore nauseabondo ed il primo giorno la rifiuto e consumo le mie scarse provviste. Il secondo giorno scopro che la brodaglia contiene anche alcuni ceci; li pesco pazientemente e li mangio. Il terzo giorno penso che non si può vivere d’aria e che devo fare del mio meglio per riportare a casa il rispettivo marito e padre di mia moglie e di mio figlio. Con uno sforzo inghiotto e il primo contatto con le specialità tedesche è preso. L’acqua non esiste perché l’impianto è guasto. Il giorno 30 viene una autocisterna e riesco a conquistare una gavetta d’acqua. Ci passano una nuova rivista: dal bagaglio che avevo al seguito nulla mi vien tolto perché riesco a far sparire quanto potrebbe far gola. Dal bagaglio arrivato col camion mi vien tolta la tenda, peccato perché eran cinque ottimi teli nuovi che avrebbero potuto esser utilizzati. Riesco in compenso, nonostante il divieto, a far passare il sacco col materasso. Dobbiamo consegnare tutti i soldi che abbiamo e lo faccio senza rimpianti poiché possiedo soltanto poche centinaia di franchi dei quali non so che farmene.