Viene un tipo in orbace il quale promette il rientro in Italia a coloro che aderiscono al Governo repubblicano fascista. Il suo discorso, a base di frasi fatte tolte dalla ben nota letteratura propagandistica degli ultimi anni, riesce a convincere soltanto una ventina di ufficiali sui trecento presenti. Arrivano altri ufficiali provenienti dai balcani – fra di essi trovo un conoscente, Nascinbene di Roma.
Domenica 31 ascoltiamo i racconti del Capitano Bertolotti che fu prigioniero degli austriaci nell’altra guerra. Ci narra di come avvenne il rimpatrio e ci dice che allora il cibo era anche peggiore.
Lunedì 1 novembre Ronda riesce a conquistare in cucina alcune patate: si tratta di farle cuocere usando paglia come combustibile. Dopo aver affumicata la stanza finiamo col mangiare le patate mezzo crude. I “terroni” che erano nella nostra stanzetta se ne sono andati; anche i bergamaschi, arrivando al forte hanno preso dimora in un’altra stanzetta. Il nostro gruppo è composto, oltre che da me, da Brunello, Ronda, Manni, Ungania, Sendivai, e l’amenissimo dottor Poidomani che fu dell’Ospedale dei Bambini e che è fratello dell’ex direttore dell’OSVA.
La fame si fa ogni giorno più forte, a sera Manni cede i suoi stivali per una pagnotta. Dell’Orto, ritornando dall’ospedale militare italiano di Strasburgo ci racconta che anche là non si sta allegri: Bulzacchi ha ceduto, per un pagnotta, il suo orologio. Io tengo duro perché penso che probabilmente dovremo passare tempi anche più difficili.