La nostra dimora, per sgradevole che sia, non può essere paragonabile, e ce ne rendiamo conto alla prima occhiata, al forte Kronprinz. Non c’è quindi stato un peggioramento e questo è già molto. Entriamo, già sapendo che racchiusi li dentro vivono 6000 ufficiali italiani, e non vediamo anima viva, salvo pochi tedeschi. Da una baracchetta adibita a cucina escono alcuni soldati italiani che lavorano lì a confezionare rancio per i prigionieri russi di passaggio. Do ad uno di loro un paio di suole e quello mi riporta poco dopo un quarto di pagnotta. Brunello fa altrettanto e, sul suo diario scriverà poi “Biraghi addenta con morsi feroci il suo pezzo di pane. Quando lo guardo mi vedo dinnanzi agli occhi certi miserabili che a Trieste, quand’ero ragazzo, si recavano sul molo a farsi gettare gli avanzi di pane dai piroscafi in arrivo. Nel gesto di Biraghi c’è la stessa ingordigia di quegli esseri, la stessa concentrazione dei sensi sul pezzo di pane. Mi accorgo che anch’io faccio la stessa cosa”.
Dopo ben cinque ore di attesa passiamo una rivista al bagaglio che mi costa la busta topografica in cuoio. Quindi ci vien data una fetta di pane e un mestolo di zuppa di miglio. Si prende anche nota dei nostri connotati e ci compilano schede individuali. Poniamo, alla maniera dei condannati d’altra specie, le nostre impronte digitali su di esse e riceviamo il nostro numero. Io, d’ora innanzi, sarò 25683. Durante la consumazione del rancio spariscono dal mio zaino – ma non per mano tedesca a onor del vero – due belle coperte di lana e questo mi spiace perché ne rimango a corto.