Anche nell’interno della nostra camerata si svolge qualcosa che è rivolto a conservare un minimo di elasticità ai nostri cervelli: Brunello mi insegna un po’ di chimica; io faccio un tentativo di insegnare agli altri un po’ d’inglese; spesso si intavolano discussioni sui più svariati soggetti e, per renderle spassose, abbiamo anche il Bastian Contrario, nella persona di Roncarati, che senza competenza spesso, e con testardaggine sempre, fa cozzare contro insuperabili scogli la logica di Manni.
Roncarati, introdottosi non invitato fra di noi, ci annoia parecchio ma ha il merito di farsi paladino di una campagna contro la camorra della cucina e viene cambiato di blocco, dopo violente liti con vari capitani, per la troppa chiarezza delle sue parole. Al suo posto viene con noi Bragante, tipo serio e tranquillo che si occuperà con imparzialità assoluta della distribuzione del rancio.
E così, in una noia ingannata a stento con cento espedienti, trascorrono i tristi giorni degli internati alla Cittadella di Ivangorod. Ci è negato qualsiasi aiuto o assistenza da parte della Croce Rossa perché noi non siamo considerati prigionieri di guerra quindi non possiamo fare assegnamento che sulla speranza di ricevere pacchi da casa. Si soffre anche per la mancanza di notizie e, quando giunge a qualche fortunato una cartolina da casa, tutti sono attorno ed il contenuto ascoltato attentamente anche dagli estranei.
Le giornate sono caratterizzate da piccoli episodi: al 20 novembre iniziano le iniezioni antitifiche che ci bloccano i muscoli delle braccia e del petto per qualche giorno. Ne faremo tre a distanza di una settimana una dall’altra oltre alla vaccinazione. Il 21 inizio sul coraggioso Brunello la mia attività di barbiere che si renderà a lungo utile alla camerata perché, volenti o nolenti, i colleghi si rassegneranno a turno a farsi tosare. Il 26 partono dalla Cittadella gli ufficiali superiori – si vocifera che la zona deve essere sgombrata e che quindi anche noi li seguiremo presto.
Il 28 novembre, domenica, ci vien consentito di uscire dal blocco e, passeggiando su e giù per il viale centrale della Cittadella, incontro Don Grandi, il cappellano del Battaglione Monte Majella. Ci racconta le sue peripezie: è stato trasferito da Hyères a Leopoli e successivamente da Leopoli a qui. Racconta che i cappellani non sono ben visti dai tedeschi che temono facciano propagando antitedesca. Racconta anche che Elefante è feroce nei riguardi miei di Brunello di Rebecchi e di Vecchia perché non l’abbiamo lasciato fuggire. Promette rappresaglie nei nostri confronti ma le sue ire credo non siano da prendere in considerazione.