Il vagone è arredato con della paglia sparsa attorno e con una cassetta, che ognuno spera all’inizio di non dover usare, sistemata al centro. Le fessure sistemate in alto, nonostante siano di dimensioni ridottissime, sono ulteriormente ostruite da filo spinato in modo che non si possa sporgere neppure una mano. Nonostante che la giornata sia chiara, la luce che entra non è sufficiente neppure per leggere. Siamo in trentotto, nel vagone, e ci accoccoliamo tutt’attorno, silenziosi ed avviliti, in attesa che i rumori che giungono dall’esterno indichino prossima la partenza. Dopo poco il vagone vien riaperto e Ronda tra le occhiate severe di due capitani tedeschi deve scendere perché quello col quale si era scambiato non è riuscito a farla franca. Spiacenti di perdere la compagnia dell’allegro collega, accogliamo al suo posto Scarpa.
Il treno comincia a manovrare verso le tre. Durante una sosta nella stazione di Deblin la porta viene aperta e, da un impaziente sottufficiale vengono posate sul coperchio della cassa delle pagnotte e del grasso. La razione consiste in un terzo di pagnotta e in un etto circa di grasso; il che è sufficiente per eliminare la fame durante tutta la notte. Mangiamo, sprovvisti come siamo di coltelli, addentando il grosso pezzo di pane dopo averlo intinto nel grasso. Il treno intanto riprende a camminare verso nord.
Nonostante le buone intenzioni di tutti, uno del vagone, per improvviso malessere, è costretto a servirsi della cassa-gabinetto e, da tale momento, l’aria del vagone acquista il particolare olezzo che dovrà accompagnarci durante tutto il viaggio.
Sono le cinque quando, essendo quasi completa l’oscurità, ci sistemiamo per la notte. La cosa non è facile perché trentotto corpi distesi non ci stanno nella vettura e, mentre ognuno pensa a star comodo, nessun vuol dormire accanto alla cassa incriminata, accanto alla porta o disteso solo in parte. Con Segantini, Manni e Scarpa mi sistemo accanto alla porta sacrificando un po’ di comodità pur di non aver discussioni con i molti meridionali compagni di viaggio. Il fondo, nonostante il fine strato di paglia, è durissimo e traballante – dietro la testa la porta traballa con un frastuono assordante – le gambe non le posso allungare per mancanza di spazio – per lo stesso motivo non posso mutare posizione anche quando l’osso dell’anca a contatto del suolo si indolenzisce in modo insopportabile. Il mio vicino di destra mi opprime fino a soffocarmi e quello di fronte, rigirandosi, porta il suo peso sulle mie gambe. Dalle fessure attorno alla porta entra un continuo soffio di aria gelida e non posso coprirmi le spalle intirizzite. Nonostante tutto, dopo parecchio, riesco a prender sonno.