Mi sveglio, dolorante e anchilosato, convinto di aver dormito a lungo e, alla luce di un cerino mi accorgo che è mezzanotte. A stento mi raccolgo, mi avvolgo nella coperta e, rinunciando a dormire, mi dispongo a passare il resto della notte senza dormire, rannicchiato in pochi decimetri di spazio. L’alba mi trova assorto nelle mie fantasticherie, rasserenato nello spirito, pronto ad iniziare la nuova giornata di sofferenza. Ad occhi aperti ho sognato la casa, Renata e Titti e m’è sembrato di portare un fardello di pena e di umiliazioni sufficiente a dare tranquillità e benessere al resto della famiglia – non so quale fondamento logico possa avere un tale ragionamento – ma bisogna tener conto delle condizioni personali ed ambientali.
Alle 7 siamo a Varsavia. Contrariamente a quanto avvenuto nell’andata, il treno viaggia ora a buona andatura limitando le fermate a pochi istanti. In aperta campagna durante una sosta il vagone viene aperto un istante per vuotare la cassa maleolente.
Alle 13 siamo a Kutno ove ci vien data una minestra d’orzo, del caffè caldo, il solito pane, il solito grasso. Anche per la giornata del 24 merzo il cibo è assicurato. Camminiamo ad andatura regolare per tutto il pomeriggio e al tramonto, quando già alcuni hanno preso sonno, sento gridare fuori che siamo a Posen. Il treno prosegue lasciando alle spalle la desolata Polonia, terra che ho visto soltanto attraverso i buchi dei carri bestiame, ma della cui piatta desolazione mi son fatta una sufficiente idea. Spero di non rivederla mai più come spero che ad essa sia risparmiato per l’avvenire il martirio delle continue guerre che ha subito in passato.