Durante la giornata si sta accovacciati sulla propria cassetta e, con gran mal di reni, si riesce a portare a termine qualche partita a carte durante la quale funge da tavola una coperta stesa sul pavimento. Anche i magri pasti vengon consumati in modo analogo salvo che il normale mormorio della camerata dà il posto ad un formidabile frastuono di cucchiai che raspano accuratamente le pareti interne delle gavette. Chi non possiede una gavetta è costretto a servirsi di scatole di latta o di altri recipienti di fortuna in analogia coi barboni del parco Ravizza.
Il 30 marzo vengono distribuiti a chi ne ha bisogno, dei recipienti di ferro, simili a piccoli catini, che suscitano lo sdegno generale per il loro aspetto e per lo stato di conservazione in cui si trovano. Anche il rancio, che tende a peggiorare anziché a migliorare, contribuisce non poco ad inasprire gli animi. Quindi, quando il 29 marzo ci viene ufficialmente comunicato che siamo considerati prigionieri di guerra anziché internati, il coro di proteste si concreta in un reclamo scritto, ricco di molte firme, che elenca le malefatte dei tedeschi nei nostri confronti dall’8 settembre in poi. In esso si parla di mancanza di vitto, di percosse, di inosservanza a norme igieniche, disciplinari e di decoro. Circola voce che una commissione deve venire a visitare il campo, quindi il reclamo vien tenuto pronto per esser presentato. Ma la commissione, anziché internazionale come si diceva, è composta solo da ufficiali tedeschi con funzioni ispettive, quindi il reclamo rimane giacente nelle tasche del comandante italiano del campo il quale, beneficiando di doppia razione di rancio, è ben lieto di temporeggiare secondo il solito sistema dei compromessi.
L’esasperazione aumenta e, ad opera di alcuni fra i più facinorosi, si manifesta in modo inconsulto all’adunata del 1° aprile che, essendo sabato, è stata anticipata alle 14. Quando il maggiore italiano dà l’attenti per presentare la forza al capitano tedesco, dai reparti inquadrati si alzano voci di protesta – nascosti nella massa alcuni urlano “rancio! rancio!” sperando di far giungere in tal modo al comando tedesco il reclamo che impiega troppo tempo a seguire la via gerarchica. L’adunata viene subito sciolta e rimandata alle 17. Alle 17, quando ritorniamo inquadrati nel recinto, troviamo ad attenderci un imponente schieramento di fucilieri e, dalle postazioni, vediamo sporgere le canne delle mitragliatrici. Il Comandante tedesco comunica di aver interpretato come un ammutinamento il comportamento nostro e dichiara di esser pronto ad usare le armi ove la cosa si ripeta. Giustifica a modo suo quelle che ritiene essere le cause del malcontento, punisce di arresti l’unico ufficiale che ha il coraggio di dichiarare di aver urlato, e dà un giro di vite al regime disciplinare del campo. Il tutto si conclude con danno e beffe per noi.