La terza settimana di agosto porta molte partenze per il lavoro ed io vedo avvicinarsi il mio turno. La maggioranza è destinata a fabbriche; altri all’agricoltura. Martedì 22 è sventato il tentativo di fuga di due che nottetempo scavavano una galleria dalle trincee all’esterno. Come conseguenza vengon fatte riempire da noi le trincee per evitare il ripetersi.
Agli ultimi di agosto terminano le partenze di lavoratori ed il comando tedesco da notizia che il lavoro non è obbligatorio. Gran parte di quelli che erano partiti ritornano e raccontano le varie angherie a cui son stati sottoposti allo scopo di strappare loro una firma. Pochi sono quelli che si son lasciati intimorire. Il ritorno di lavoratori a gruppi prosegue fino a metà del mese di settembre.
La vita nel campo prosegue normale: il vitto è mangiabile e meno scarso che negli altri campi; le cimici, per via della abitudine che ci abbiamo fatta, sono diventate meno fastidiose; le pulci si riproducono ingrassano e saltellano a migliaia attorno alle nostre gambe e sui nostri letti; il clima è spesso umido e piovoso, ma di tanto in tanto una giornata di sole ci permette di passare qualche ora all’aperto. Le notti sono fredde e le due coperte non bastano – spesso mi sveglio intirizzito e devo stendermi sopra tutto il vestiario di cui dispongo. Spesse volte il tramonto ci somministra spettacoli di colori e di giochi di nubi veramente eccezionali; anche questo cielo livido ha le sue bellezze e sono veramente indimenticabili.
Trascorro giornate intere sulla cuccetta divorando romanzi e libri d’ogni specie. Nel campo giungono notizie sull’andamento della guerra da cento vie diverse ed i tedeschi, meravigliandosi di come noi si sia informati meglio e prima di loro, cercano disperatamente una radio che non esiste e ci perseguitano con infinite perquisizioni – ma anche ad esse abbiamo fatto il callo e usciamo dalla baracca lasciandoli frugare a loro agio nei nostri sacchi.
Circolano voci di prossima partenza che si concretano il 17 settembre con un ordine di tenersi pronti. Ma ci sono difficoltà nell’avere disponibili i vagoni – il temuto progetto di trasferirci a piedi è stato scartato – e la partenza ritarda. Ci viene detto anche che il bagaglio che non potremo portare con noi, difficilmente sarà fatto proseguire per mancanza di mezzi di trasporto. Così ci prepariamo enormi zaini e ci rassegniamo a perdere valige e cassette. C’è chi prepara con mezzi di fortuna dei carrettini sui quali trasportare le proprie cose. Io ho ancora sufficiente fiducia nelle mie spalle e non mi preoccupo eccessivamente dei dodici km che ci separano da Lathen.
Dopo parecchi ordini contrordini e falsi allarmi, il 22 settembre partono quelli delle prime sei baracche e stiamo ad osservare il loro lento corteo, i loro carichi monumentali ed i cigolanti carrettini che li seguono. Per noi passano altri giorni di attesa. Intanto veniamo a sapere che i nostri bagagli pesanti, nel magazzino, essendo destinati ad essere abbandonati, sono stati saccheggiati dai soldati tedeschi capeggiati dal Pantera; mi spiace per i miei libri, sola cosa che ho dovuto abbandonare, con le chiavi di casa e altri ammennicoli di scarso interesse.