Nato a Milano il 7 aprile 1914 a Porta Magenta da sedici bisnonni milanesi, rimasto orfano di padre a quattro anni per l’epidemia di spagnola, morì serenamente a Milano, nella casa costruita da lui in via Marcantonio Colonna, il 17 giugno 1989, con la sua famiglia accanto.
Nell’anno della sua morte Luigi Biraghi era uno degli ultimi seicento milanesi puri: amava e conosceva la sua città, i suoi palazzi (“per Milano bisogna passeggiare guardando in alto”), la sua storia e il dialetto milanese, oggi pressoché scomparso, di cui era studioso e cultore. A fine anni ’80 ancora si intestardiva a parlare in milanese ai tassisti e ai vigili urbani, anche se quasi nessuno di loro lo capiva più.
Ma fuori da Milano, Luigi Biraghi amava, conosceva e riconosceva le montagne. Rimasto alpino per tutta la vita, indossava con orgoglio la sua penna nera di tenente alle adunate e sosteneva concretamente l’ANA. Nei campi di concentramento tedeschi (dove volle rimanere per non collaborare con nazisti e RSI, meritando sia la Croce di Guerra sia il diritto a fregiarsi del distintivo di Volontario della Libertà) imparò l’amore per la vita, il piacere della compagnia, il valore degli amici, la tenacia e l’arte di aggiustare le cose anziché gettarle.
Nel laboratorio allestito in cantina, dove si ritirava dopo il lavoro, prima di cena, aggiustava qualunque cosa. Era anche pescatore soprattutto di torrente, i suoi torrenti delle Dolomiti, preferiva mulinelli e cucchiaini alle lenze, ma non uccideva mai un pesce se non per mangiarlo.
Eccolo nella primavera del 1960, durante la sua prima visita negli Stati Uniti a trovare Mario, il cugino maggiore che amava come un fratello.
Ed eccolo l’anno dopo in Canada, nel corso di una battuta di pesca.
Luigi Biraghi era un uomo speciale. Rigoroso e incorruttibile, era intransigente più con se stesso che con gli altri. La sua è stata una vita tragica, difficile, durissima, disseminata di ostacoli, sventure e grandi dolori, durata appena tre quarti di secolo. Eppure ha affrontato ogni difficoltà, anche quelle più dure, con sereno coraggio. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, ancora oggi, tanti anni dopo, lo ricorda con affetto, simpatia, rispetto e rimpianto. Qui sotto la sua ultima foto, pochi mesi prima della morte.
Luigi Biraghi è stato il miglior padre, marito e amico che si potesse desiderare e tanti anni dopo la sua scomparsa il suo insegnamento e il suo esempio continuano a essere un punto di riferimento in ogni momento della vita di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.
Alberto Biraghi, figlio.
PS: nessuna parentela con il fondatore dell’Istituto Marcelline.